La pausa caffè aumenta la produttività a lavoro
Fra le strategie per migliorare la produttività dei dipendenti non bisogna sottovalutare la pausa caffè, un momento della giornata che contribuisce ad incrementare le prestazioni sul lavoro, contrasta lo stress da ufficio e migliora la socializzazione con i colleghi. A questa conclusione sono arrivati un gruppo di ricercatori dell'Università di Copenaghen coordinati da Pernille Stroebaek. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Symbolic Interaction (Let's Have a Cup of Coffee! Coffee and Coping Communities at Work - DOI: 10 1002 / symb 76 - Settembre 2013).
Precedenti studi, come ad esempio quello condotto dal dipartimento di psicologia della New York University, avevano già evidenziato l'importanza delle pause a lavoro (Enhanced Brain Correlations during Rest Are Related to Memory for Recent Experiences - doi: 10 1016 / j neuron 2010 01 001). La ricerca coordinata da Lila Davachi aveva rilevato che grazie alle pause il cervello recupera e riesce a rendere meglio, con ricadute positive sulla produttività a lavoro.
In questo nuovo studio, condotto su un campione di dipendenti pubblici, si è osservato che i gruppi di colleghi che si formano davanti alle macchinette da caffè o al bar hanno un effetto terapeutico che contribuisce a far reggere meglio lo stress lavorativo. I ricercatori spiegano che queste pause sono molto importanti per la socializzazione e lo scambio di opinioni professionali, dei momenti utili anche per spezzare la tensione che si crea dopo ore di lavoro.
La pausa caffè è quindi un momento della giornata lavorativa che può migliorare notevolmente la produttività, bisogna però stare attenti a non esagerare con i caffè. Stando ai risultati di uno studio pubblicato sul Mayo Clinic Proceedings (Association of Coffee Consumption With All-Cause and Cardiovascular Disease Mortality - doi: 10 1016 / j mayocp 2013 06 020) non bisogna bere più di 4 caffè al giorno.
Superare le 28 tazzine a settimana potrebbe mettere in serio pericolo la salute di chi ha meno di 55 anni. Un'indagine nata dalla collaborazione di due università, l'Università del Queensland (Australia) e l'Università del South Carolina (Stati Uniti), ha evidenziato che quando si superano queste dosi le probabilità di morire per una causa qualsiasi aumentano del 56 per cento. Rischio che sembrerebbe non esserci nel caso in cui si siano superati i 55 anni.
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