Conseguenze di una carenza di vitamina D
La vitamina D bassa nel sangue (25-OH D3 carente) può avere diverse conseguenze sull'organismo, alcune di esse possono variare in funzione dell'età, della fase di vita dell'individuo e dello stato generale di salute. Se in una donna in menopausa ci può ad esempio essere un maggior rischio di osteoporosi, nei bambini una grave carenza di vitamina D può portare al rachitismo.
Le cause di un deficit di vitamina D possono essere diverse, nella maggior parte delle situazioni il problema è però riconducibile all'inadeguata esposizione alla luce del sole (troppo poco tempo passato all'aria aperta o l'utilizzo di creme con fattore di protezione solare molto elevato) e/o una carenza di cibi ricchi di vitamina D.
Si sa che uno stile di vita sano è molto importante per la prevenzione primaria e, in determinati casi, basta veramente poco per migliorare il proprio benessere generale. Con le dovute precauzioni, esponendosi al sole nelle ore meno calde della giornata (sopratutto in estate), si può fare il pieno di vitamina D. Una sostanza che aiuta a migliorare l'assorbimento del calcio, a partire dall'intestino, e stabilizza il metabolismo osseo ma non solo, i benefici di questa vitamina non si limitano infatti solo all'apparato scheletrico. Una carenza di vitamina D può influire anche su altre condizioni e patologie quali: depressione, tumori, sovrappeso e obesità, Parkinson, osteomalacia, osteoporosi, autismo, psoriasi, ecc..
Sono diverse le ricerche medico scientifiche che hanno evidenziato l'importanza di un buon livello di 25-OH D3 nel sangue anche in altri processi. Un adeguato livello di vitamina D protegge ad esempio dal rischio cardiovascolare perché contribuisce a stabilizzare il metabolismo del colesterolo e previene l'aggregazione piastrinica. Si è poi scoperto che questa sostanza svolge un ruolo abbastanza importante anche nella prevenzione del diabete e, in alcuni casi, avrebbe anche delle proprietà antitumorali.
Vediamo nel dettaglio quali possono essere alcune delle conseguenze di una carenza di vitamina D:
Salute delle ossa e forza muscolare
Un buon livello di vitamina D, sintetizzata dal cibo o assorbita dal sole, migliora la fissazione e l'assorbimento del calcio nelle ossa rendendole più robuste e preservandole dalle fratture. Si tratta di un processo che, tra le tante cose, migliora la densità ossea, un fattore cruciale sopratutto per la terza età quando la produzione di vitamina D si riduce e le abitudini alimentari e lo stile di vita possono determinare una condizione di ipovitaminosi D.
Diversi studi hanno dimostrato che l'assunzione di supplementi di vitamina D contribuisce a ridurre il rischio di fratture ossee nella popolazione anziana. Da questo punto di vista, una supplementazione con vitamina D può essere un buono strumento di prevenzione per una fascia della popolazione particolarmente sensibile. Il dato è stato dimostrato anche nel corso di una meta-analisi, pubblicata negli Archives of Internal Medicine (Prevention of Nonvertebral Fractures With Oral Vitamin D and Dose Dependency, A Meta-analysis of Randomized Controlled Trials - Doi: 10.1001/archinternmed.2008.600), che ha esaminato le informazioni relative a quasi 41mila anziani. In questo campione, composto prevalentemente da donne, una supplementazione della vitamina ha contribuito a ridurre del 20 per cento il rischio di fratture ossee.
Grazie a buoni livelli di vitamina D si può inoltre migliorare la massa muscolare. Un aspetto tutt'altro che secondario perché muscoli più forti contribuiscono a prevenire le cadute, una delle principali fonti di disabilità nella fascia di popolazione anziana. In base ad alcune statistiche relative alla popolazione italiana, come conseguenze delle cadute, le fratture del polso sono più comuni di quelle dell'anca tra i 65 e 75 anni, mentre quelle dell'anca predominano in età più avanzata.
Effetti sul sistema immunitario
Non molti sanno che la vitamina D ha effetti anche sul sistema immunitario. Un gruppo di ricercatori dell'Università di Copenhagen, in Danimarca, ha scoperto che i linfociti T non sono in grado di combattere le infezioni senza di essa. I risultati della ricerca sono stati pubblicati su Nature Immunology (Vitamin D controls T cell antigen receptor signaling and activation of human T cells - Doi: 10.1038/ni.1851).
Quando un linfocita T si trova in presenza di un agente patogeno, espone un dispositivo di segnalazione noto come recettore per la vitamina D. Questi recettori sono stati individuati in diverse cellule del sistema immunitario, non solo nei linfociti T e B ma anche nelle cellule dendritiche (cellule che hanno la funzione di presentare gli antigeni al sistema immunitario), nelle cellule NK (Natural Killers) e nei macrofagi. Nel caso dello studio pubblicato su Nature Immunology, gli autori si sono concentrati sulle cellule T scoprendo che in caso di ipovitaminosi D non riescono ad attivarsi. Lo studio ha permesso anche di tracciare la sequenza biochimica di trasformazione di una cellula T da inattiva ad attiva.
Gli autori hanno inoltre scoperto che i linfociti T inattivi, o naivi (cellule T a cui non è stato ancora presentato l'antigene), non solo non presentano un recettore per la vitamina D ma sono anche privi di una specifica molecola, la PLC-gamma1, che permette di dare una risposta antigenica specifica.
Secondo altre ricerche, la vitamina D è implicata anche nell'incidenza di alcune malattie autoimmuni quali il diabete di tipo 1 e la sclerosi multipla. Bassi livelli ematici di 25-OH D3 sono associati ad un maggior rischio di sviluppare questo tipo di malattie e, osservando i dati epidemiologici, si scopre che sono più frequenti tra le popolazioni nordiche rispetto a quelle che vivono nelle zone più vicine all'equatore.
Un altro studio condotto da un gruppo di ricercatori giapponesi, pubblicato sull'American Journal of Clinical Nutrition (Randomized trial of vitamin D supplementation to prevent seasonal influenza A in schoolchildren - Doi: 10.3945/ajcn.2009.29094), ha rilevato che esiste un legame tra i malanni stagionali e la vitamina D. Partendo dalla considerazione che durante i mesi più freddi ci sono, mediamente, livelli di vitamina D più bassi, gli studiosi hanno valutato l'implementazione di tale vitamina su adulti e bambini. L'indagine ha dimostrato che, sopratutto nei bambini in età scolare, una supplementazione di vitamina D durante la stagione invernale può ridurre i ben il 40 per cento l'incidenza di influenza dovuta ai virus di tipo A (per chi non lo sapesse, il virus di tipo A è quello collegato alla forma di influenza più grave ed è il principale patogeno umano associato ad epidemie e pandemie).
Rischio di malattie cardiovascolari
Un basso livello di vitamina D circolante è associato ad un maggior rischio di insufficienza cardiaca acuta e infarto. Una ipovitaminosi D è inoltre associata all'evoluzione più sfavorevole delle malattie cardiovascolari. Sono diversi gli studi che hanno rilevato questa associazione, tra i tanti ce n'è anche uno italiano condotto da un team di ricercatori del Centro cardiologico Monzino (Vitamina D, se è scarsa anche il cuore ne risente).
Da un'indagine, condotta su 814 persone colpite da infarto, è emerso che in ben 8 persone su 10 c'era una carenza parziale o totale di vitamina D. Le persone con i valori più bassi andavano incontro ad una peggiore progressione della malattia nel tempo e presentavano un rischio aumentato di mortalità e maggiori complicanze cliniche intra-ospedaliere ad un anno dal ricovero. Ulteriori informazioni sull'argomento potete trovarle nell'articolo: Carenza vitamina d e prevenzione malattie cardiovascolari.
Il primo studio che mette in relazione la vitamina D con la salute cardiovascolare risale al 2007 ed è stato pubblicato nel 2008 su Circulation (Vitamin D Deficiency and Risk of Cardiovascular Disease - Doi: 10.1161/CIRCULATIONAHA.107.706127). In quell'indagine si è dimostro che le persone con un deficit della vitamina D presentano, mediamente, un rischio superiore del 62 per cento di eventi cardiovascolari avversi quali: infarto, insufficienza coronarica e scompenso cardiaco.
Attualmente non si hanno però informazioni sufficienti per chiarire il ruolo della vitamina D, la sua carenza potrebbe essere una possibile causa di infarto ma non si può escludere che possa essere solo un marcatore di aumentato rischio individuale. Se ulteriori studi dimostrassero che un paziente colpito da infarto abbia dei giovamenti derivanti da un'integrazione di vitamina D, l'associazione sarebbe dimostrata in quanto si osserverebbe un rapporto di causa effetto.
Parkinson, Alzheimer e altre malattie neuro degenerative
Una carenza di vitamina D sembrerebbe avere un ruolo anche nello sviluppo di malattie neuro degenerative come il Parkinson e l'Alzheimer. L'argomento è stato affrontato nel corso di uno studio condotto da un gruppo di ricercatori dalla Emory University School of Medicine di Atlanta.
Confrontando i livelli di vitamina D in un campione di 296 persone (100 con Parkinson, 97 con Alzheimer e 99 senza alcun disturbo), si è rilevato che i livelli della vitamina nei pazienti con morbo di Parkinson erano nettamente più bassi rispetto a quelli dei pazienti sani. Risultati più bassi sono stati osservati anche nei pazienti con Alzheimer.
Un'altra ricerca condotta presso la Oregon Health and Sciences University, e pubblicata sul Journal of Parkinson's Disease (Memory, Mood, and Vitamin D in Persons with Parkinson's Disease - Doi: 10.3233/JPD-130206), ha invece dimostrato che alti livelli di vitamina D in circolo possono essere utili per prevenire, o ritardare, l'insorgenza di deficit cognitivi e depressione nelle persone affette da Parkinson.
Lo studio ha coinvolto un campione di 286 persone, affette da Parkinson, analizzando i livelli di vitamina D nel sangue. Dai dati è emerso che coloro che avevano alti livelli plasmatici di vitamina D presentavano dei sintomi meno severi: minori stati depressivi e una migliore capacità cognitiva. Anche se i numeri dell'indagine non sono sufficienti per raggiungere una significatività statistica, sono comunque molto interessanti e aprono la strada a nuovi studi per approfondire l'argomento.
Rischio di autismo
Una carenza di vitamina D in gravidanza sembrerebbe essere anche una delle possibili cause dell'autismo. Si sa che questa vitamina è molto importante nei primi anni di vita perché perviene il rachitismo, dei livelli adeguati per lo sviluppo sono però cruciali anche durante il periodo della gestazione.
Il dato è emerso nel corso di uno studio , condotto presso il Brain Institute dell'University of Queensland, durante il quale si è osservato che un livello basso della vitamina a 20 settimane di gravidanza aumenta il rischio di partorire un bambino con tratti autistici. Per ulteriori informazioni potete leggere l'articolo: Cause autismo e vitamine in gravidanza.
Nell'indagine sono state considerate carenti le donne con livelli di 25-OH D3 inferiori a 25 nmol/L (corrispondenti a 7,9 ng/ml). L'informazione non è da sottovalutare e sarebbe opportuno consigliare, in caso di una carenza rilevata mediante gli esami del sangue, una supplementazione di vitamina D in gravidanza. Per considerare l'importanza di questa prassi basti pensare a come l'uso dell'acido folico sia riuscito a ridurre l'incidenza della spina bifida.
Tumori e cancro
In base ai risultati di alcuni studi di laboratorio, la vitamina D sembrerebbe in grado di rallentare, se non addirittura prevenire, lo sviluppo di alcune forme di tumori. Essa è in grado di frenare la crescita delle cellule tumorali, ne favorisce la morte programmata, apoptosi, e ne riduce l'angiogenesi (la formazione di nuovi vasi).
Nel corso dello studio EPIC (European Prospective Investigation into Cancer and Nutrition, al quale hanno preso parte anche diversi ricercatori italiani (alcuni sostenuti dall'AIRC), è stato dimostrato che dei quantitativi sufficienti di vitamina D, rispetto ad una carenza, contribuiscono a ridurre del 40 per cento il rischio di tumore del colon-retto.
Carenza di vitamina D: altre conseguenze
In una meta analisi pubblicata sull'American Journal of Clinical Nutrition (Vitamin D deficiency and mortality risk in the general population: a meta-analysis of prospective cohort studies - Doi: 10.3945/ajcn.111.014779), dove sono stati valutati i risultati di ben 14 studi che hanno coinvolto complessivamente 62.548 persone, è emerso che esiste una relazione diretta tra i livelli di 25-OH D3 e la mortalità. Si è infatti rilevato che il rischio di mortalità si riduce all'aumentare dei livelli di vitamina D. In base ai dati raccolti, la concentrazione ottimale della vitamina dovrebbe essere tra 75 e 87,5 nmol/L, corrispondenti ad un valore compreso tra 30 e 35 ng/ml. Valori superiori non sembrerebbero offrire un ulteriore riduzione del rischio.
Oltre a quanto già detto, la carenza di vitamina D può inoltre portare a:
- Aumento del paratormone (PTH)
- Aumento del turnover osseo (soprattutto dell'attività di assorbimento)
- Aumento di rischio per il SNC (Sistema Nervoso Centrale)
- Disturbi dell'equilibrio
- Fratture
- Miopatia prossimale
- Osteomalacia
- Osteoporosi
- Psoriasi
- Rachitismo
- Riduzione della Calcemia
Per ulteriori approfondimenti vi consigliamo anche la lettura di:
Questo è solo un elenco parziale, già così si può però capire quanto sia importante avere dei buoni livelli plasmatici di 25-OH D3, e quanti rischi si possono correre in caso di ipovitaminosi D.
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