Tumore al seno, sopravvivenza e carenza di vitamina D
La sopravvivenza dopo la diagnosi di un tumore al seno è maggiore se non si ha una carenza di vitamina D (25-idrossivitamina D), questo vale sopratutto per le donne che non sono entrate ancora nella menopausa. Un gruppo di ricercatori americani ha rilevato che le pazienti che al momento della diagnosi presentano buoni livelli di tale vitamina, rispetto a quelle con un deficit, hanno una probabilità di sopravvivere superiore del 30 per cento. I risultati dell'indagine sono stati pubblicati su Jama Oncology (Association of Serum Level of Vitamin D at Diagnosis With Breast Cancer Survival - Doi: 10.1001/jamaoncol.2016.4188).
Le probabilità di sopravvivere ad un carcinoma mammario sono notevolmente cresciute rispetto al passato. Attualmente, a cinque anni dalla diagnosi, l'87 per cento delle donne sono ancora vive. Parte di questo risultato è da attribuire alle nuove cure per il tumore al seno ma molto si deve anche allo screening mammografico. Lawrence Kushi, coordinatore dello studio e ricercatore presso la Kaiser Permanente Northern California Division of Research, spiega che in base ai dati raccolti, anche la vitamina D può avere un ruolo nell'aspettativa di vita delle pazienti oncologiche. Maggiori sono i suoi livelli migliore è la prognosi.
I risultati sono frutto di un'indagine che ha coinvolto 1.666 donne con un cancro al seno invasivo. Le partecipanti sono state divise in tre gruppi a seconda dei livelli ematici della 25-idrossivitamina D (25 OH). Da un'analisi preliminare si è potuto constatare che le pazienti con i livelli della vitamina più bassi erano quelle che, mediamente, presentavano dei tumori più avanzati. La carenza maggiore è stata rilevata in quelle donne che non erano entrate ancora in menopausa e i risultati della biopsia avevano portato alla diagnosi di un carcinoma mammario triplo negativo (una neoplasia che, rispetto ad altre forme di tumore al seno, spesso ha una prognosi più sfavorevole).
Dopo l'operazione, le pazienti sono state sottoposte ad una visita di controllo dopo 6 mesi e, successivamente, dopo 2, 4, 6 e 8 anni. Durante questo lungo periodo di follow-up, in alcune donne si è potuta rilevare la ricomparsa del tumore, in altre lo sviluppo di nuovi tumori primari, mentre di altre si è constatato il decesso. Al termine dello studio, risultavano decedute 100 donne del gruppo delle donne con i più bassi livelli di vitamina D, nel gruppo di quelle con i livelli più alti i decessi sono stati invece 76. Statisticamente, le donne con livelli più alti di vitamina D hanno quindi il 28 per cento in meno di probabilità di morire, rispetto alle donne con un deficit della 25-idrossivitamina D. Questa relazione era più forte sopratutto tra le donne in premenopausa. Livelli adeguati della vitamina D risultavano associati anche ad una minore probabilità di avere recidive.
Nella fase dell'analisi dei dati, i ricercatori hanno anche tenuto conto di diversi fattori che potevano influire sui livelli della vitamina D. Attualmente non si hanno ancora abbastanza informazioni sui meccanismi attraverso i quali la 25-idrossivitamina D (vitamina D) influisce sulla prognosi del tumore al seno, ci sono però delle ipotesi. Da una parte ci potrebbe essere un certo effetto inibitore sulla riproduzione delle cellule tumorali, dall'altra potrebbe essere invece utile per promuovere un corretto sviluppo delle cellule della ghiandola mammaria, evitando così la formazione di errori nella replicazione del DNA.
Il livelli della vitamina D si valutano attraverso le analisi del sangue, nello specifico si esegue l'esame della vitamina D (25 OH). I valori di riferimento possono essere differenti per la maggior parte degli analiti in funzione di diversi parametri quali ad esempio l'età e il sesso , delle variazioni ci possono però essere anche a seconda dei macchinari in uso nei differenti laboratori. Non forniremo quindi dei livelli di riferimento perché è preferibile valutare i risultati delle analisi in base al range fornito dal laboratorio direttamente su referto.
Lo studio di cui abbiamo parlato non è il primo che mette in relazione la vitamina D con il tumore al seno. Un'altra indagine pubblicata su Endocrinology (Tumor Autonomous Effects of Vitamin D Deficiency Promote Breast Cancer Metastasis - Doi: 10.1210/en.2015-2036), condotta da un gruppo di ricercatori della Stanford University School of Medicine, ha infatti rilevato un legame diretto fra i livelli di vitamina D in circolo e l'espressione di un gene, noto con la sigla ID1, associato alla crescita tumorale e alle metastasi del cancro mammario.
Anche un'altra pubblicazione scientifica, Meta-analysis of vitamin D sufficiency for improving survival of patients with breast cancer, ha concluso che la vitamina D aumenta la sopravvivenza delle pazienti con cancro al seno. In questa indagine, condotta dai ricercatori della Facoltà di Medicina dell'Università della California a San Diego (UCSF) e pubblicata su Anticancer Research, è stato dimostrato che livelli adeguati di vitamina D possono raddoppiare la probabilità di sopravvivenza. Al contrario una carenza della vitamina, sopratutto nelle donne non ancora in menopausa, è associata ad un più alto rischio di sviluppare un carcinoma mammario.
Lo studio, coordinato da Cedric F. Garland (professore presso il Department of Family and Preventive Medicine), ha esaminato complessivamente i dati di 4.443 donne con tumore al seno. L'esperto spiega che i metaboliti della vitamina D migliorano la comunicazione tra le cellule e favoriscono l'attivazione di una proteina che blocca la divisione cellulare aggressiva. Quando i recettori della vitamina D sono presenti, la crescita dei tumori viene impedita o comunque ostacolata. Fino a quando una neoplasia non si trova in uno stadio avanzato, i recettori della vitamina D non si perdono e l'effetto protettivo rimane attivo. Questo può essere uno dei motivi della migliore sopravvivenza nei pazienti i cui livelli ematici di vitamina D sono alti.
In base ai parametri della ricerca condotta da Cedric F. Garland, sono stati considerati alti (è quindi utili contro il tumore al seno) dei livelli ematici di circa 30 nanogrammi per millilitro (ng/ml) di 25-idrossivitamina D. Un livello medio di vitamina D intorno a 17 ng/ml è stato invece considerato basso.
Alla luce di questi dati, anche se ulteriori studi clinici randomizzati e controllati saranno necessari per confermare i risultati, non bisogna sottovalutare l'impatto della vitamina D sulla salute. Si tratta di una vitamina importante per tutti, ma, sopratutto le persone a rischio di cancro al seno dovrebbero conoscere i propri livelli di 25-idrossivitamina D e, in caso di deficit, adottare le dovute misure per correggere eventuali carenze.
A cosa serve la vitamina D
La vitamina D aiuta a regolare il metabolismo del calcio, per questo motivo quando si parla di questa vitamina, il primo pensiero va sempre alla salute delle ossa. Contribuisce inoltre a mantenere nella norma i livelli di calcio e di fosforo nel sangue.
Dei livelli adeguati sono fondamentali per prevenire l'osteoporosi negli anziani e il rachitismo nei bambini. Il calcitriolo, 1,25-diidrossicolecalciferolo (abbreviato in 1,25-(OH)2D3 oppure in 1,25(OH)2D), la forma attiva della vitamina D3, agisce però anche come un ormone in grado di regolare vari organi e sistemi. In diversi studi, proprio per questa sua duplice funzione, una carenza di vitamina D è stata associata ad un maggior rischio di diverse malattie quali: infarto, diabete, asma, Alzheimer, sclerosi multipla, ecc..
Stando ai risultati di altre ricerche, quali ad esempio quelle citate all'inizio di questo articolo, la carenza di vitamina D è associata ad un aumento della probabilità di insorgenza del cancro al seno e una maggiore velocità di diffusione della malattia. Livelli adeguati di 25 OH sono inoltre utili anche nel caso di altri tumori, non solo il carcinoma mammario.
Cause carenza di vitamina D
Si sa che la carenza di vitamina D incide negativamente sulla calcificazione delle ossa, tale deficit rende inoltre i denti più deboli e vulnerabili alle carie. Ma da cosa può dipendere una carenza di 25-idrossivitamina D?
Se si considera che la maggior parte della vitamina D proviene dall'esposizione ai raggi del sole, un eventuale deficit di questa vitamina potrebbe derivare da comportamenti che ostacolano l'esposizione al sole (protezioni solari troppo elevate, vestirsi troppo coperti, rimanere in ambienti chiusi per molte ore, ecc.).
Una carenza di vitamina D potrebbe essere anche conseguente a comportamenti poco salutari quali ad esempio l'uso di sostanze stupefacenti o il consumo di alcolici. Il problema potrebbe inoltre essere legato all'assunzione di alcuni farmaci, quali ad esempio le statine, utilizzate per abbassare ilo colesterolo, che possono influire sulle scorte di vitamina D del nostro organismo.
Deficit di vitamina D possono essere rilevati in caso di osteoporosi, nelle persone anziane, nella menopausa, in gravidanza (per maggiori informazioni vi consigliamo la lettura dell'articolo: Carenza di vitamina D in gravidanza), nella fase della crescita, in caso di situazioni di malassorbimento o insufficienza epatica.
Cibi ricchi di vitamina D
Come accennato in precedenza, la maggior parte della vitamina D viene accumulata dal nostro organismo attraverso l'esposizione ai raggi solari. Ci sono comunque alcuni alimenti che possono essere considerati delle fonti discrete:
- Fegato (0,5µg per 100 g di prodotto)
- Formaggi grassi (fino a 0,50µg per 100 g di prodotto)
- Funghi (3,00µg ogni 100 g in caso di porcino o spugnolo)
- Gamberi e ostriche
- Latte e derivati (fino a 0,75µg per 100 g di prodotto)
- Olio di fegato di merluzzo (210,00µg per 100 g di prodotto)
- Pesci grassi quali ad esempio il salmone, lo sgombro, le sardine, ecc. (fino a 25,00µg per 100 g di prodotto)
- Uova, in particolare il tuorlo (1,75µg per 100 g di prodotto)
La vitamina D è una vitamina liposolubile che viene accumulata nel fegato, di conseguenza, non c'è bisogno di assumerla regolarmente attraverso l'alimentazione perché il nostro organismo può rilasciarla gradualmente in base alle necessità. In genere, eventuali integrazioni sono necessarie in particolari situazioni quali, ad esempio, la gravidanza, l'allattamento o particolari periodi della crescita.
Per quanto riguarda i livelli minimi non esistono delle indicazioni assolute. Secondo l'Institute of Medicine statunitense, la concentrazione di vitamina D nel sangue dovrebbe attestarsi intorno alle 20 nanomoli/litro, il consiglio della maggior parte degli esperti è però quello di non scendere al di sotto delle 30 nanomoli/litro.
Secondo alcune indagini, salvo particolari situazioni, basterebbero 40 minuti al giorno di esposizione al sole nel periodo estivo per fare scorta di vitamina D per tutto l'inverno. Anche nei periodi più freddi è comunque utile trascorrere del tempo all'area aperta per assicurarsi l'apporto necessario. Alcuni soggetti, quali ad esempio gli anziani e i neonati, trascorrono più tempo in casa e, rispetto ai giovani, si espongono di meno ai raggi solari. In questo caso un deficit potrebbe essere abbastanza comune e, proprio per questo motivo, si consiglia la supplementazione in gocce di vitamina D nel primo anno di vita e nelle persone anziane.
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