Picco glicemico
Ormai da tempo si sa che c'è una correlazione tra dimagrimento e glicemia, se si sta attenti all'indice glicemico si potrebbe addirittura dimagrire più velocemente. Particolare attenzione va posta al picco glicemico, un fattore che oltre ad influire sull'aumento di peso potrebbe favorire l'insorgenza del diabete. Tutti i diabetologi conoscono il fenomeno dei picchi glicemici post prandiali, ad oggi non si sapeva però come mai alcune persone assorbono più velocemente, e in maggiori quantità, gli zuccheri della dieta. La risposta la si può trovare nei risultati di uno studio italiano coordinato da Giorgio Sesti, ordinario di Medicina interna presso l'Università Magna Graecia di Catanzaro e presidente della Società italiana di diabetologia. La ricerca, vista la valenza scientifica, è stata pubblicata su Journal of clinical endocrinology and metabolism (Duodenal sodium/glucose co-transporter 1 expression under fasting conditions is associated with post-load hyperglycemia - Doi: 10.1210/jc.2017-00348).
Capire cosa regola i picchi glicemici è molto importante, non solo perché in soggetti a rischio possono favorire la comparsa del diabete ma anche perché nelle persone già colpite dalla malattia contribuiscono a danneggiare i reni, i nervi, le piccole arterie della retina e il sistema cardiovascolare (per maggiori informazioni potete consultare la pagina con tutte le complicanze del diabete). I ricercatori dell'Università Magna Graecia di Catanzaro hanno scoperto che alcune persone assorbono maggiori quantità di zuccheri, e in maniera molto più rapida, per via di uno specifico trasportatore sodio/glucosio conosciuto con la sigla SGLT-1 (dall'inglese Sodium-Glucose Linked Transporter). Si tratta di una proteina "trasportatrice" specializzata nell'assorbimento del glucosio a livello del duodeno.
Gli zuccheri introdotti con l'alimentazione vengono assorbiti in prevalenza nel duodeno, la prima parte dell'intestino tenue (un'area situata fra lo stomaco e il digiuno). Grazie alla proteina SGLT-1, il glucosio attraversa la parete intestinale e giunge nella circolazione sanguigna. In alcune persone, SGLT-1 è però troppo "efficiente" e, di conseguenza, nelle persone con pre-diabete può provocare un pericoloso innalzamento della glicemia. Aver individuato questo meccanismo è molto importante perché, se inibito, potrebbe contribuire a proteggere tali individui dai picchi di glicemia post-prandiale e, di conseguenza, si contribuirebbe a prevenire il diabete.
Le conclusioni dei ricercatori sono frutto di uno studio che ha coinvolto 54 persone. Tutti sono stati sottoposti alla prova da carico di glucosio, un test di tolleranza allo zucchero, noto comunemente come "curva da carico" (Oral Glucose Tollerance Test, OGTT), che prevede la somministrazione di una soluzione orale con 75 g di glucosio. Successivamente è stata condotta un'esofagogastroduodenoscopia, un esame che consente di esaminare dall'interno l'esofago, lo stomaco e il duodeno, rilevando eventuali patologie. In questo specifico caso è stata eseguita una biopsia della mucosa duodenale al fine di misurare la quantità del trasportatore del glucosio SGLT-1.
Dall'analisi dei dati raccolti si è rilevato che i soggetti con NGT-1h-alto (NGT con alta glicemia a 1 ora) e quelli con alterata tolleranza al glucosio (IGT), persone che presentano dei valori della glicemia compresa tra 140 e 199 mg/dl a due ore dalla curva da carico, hanno livelli aumentati del trasportatore SGLT-1 nell'intestino. Tali livelli sono paragonabili a quelli dei pazienti ai quali è stato diagnosticato il diabete di tipo 2.
Gli esperti spiegano che sia l'alterata tolleranza al glucosio, che la glicemia alta dopo 1 ora, sono delle condizioni tipiche che caratterizzano una situazione definita pre-diabete, una situazione collegata ad un altissimo rischio di sviluppare la malattia conclamata. Grazie a queste nuove informazioni si può ipotizzare che l'aumento dei livelli duodenali del trasportatore SGLT-1, e il conseguente iperassorbimento del glucosio a livello intestinale, possa costituire uno dei meccanismi responsabili dell'iperglicemia post-prandiale.
Considerando che l'attività del trasportatore SGLT-1 può essere inibita da specifici composti fenolici presenti nelle mele, si potrebbe mettere a punto una terapia utile non solo per trattare l'iperglicemia post prandiale, ma anche per prevenire lo sviluppo del diabete nei soggetti a rischio. Attualmente sono in fase di sviluppo alcuni farmaci con azione inibitoria sia su SGLT-1 che SGLT-2 (dei trasportatori sodio-glucosio tipo 2 presenti a livello renale).
Cosa è il picco glicemico
La presenza di glucosio nel sangue non è costante ma segue una curva, che varia nell'arco della giornata, collegata a quello che mangiamo. La mattina a digiuno, prima di fare colazione, si ha di solito il livello di glucosio più basso, dopo circa un'ora dal pasto (in alcuni casi anche un'ora e mezzo), c'è un picco. Tale picco si ripresenta nella curva ogni qual volta si mangia qualcosa. Più il pasto è ricco di zuccheri semplici, maggiori saranno i livelli di glucosio nel sangue.
Per riequilibrare questi livelli il nostro organismo utilizza l'insulina, un ormone prodotto dal pancreas. Nella maggior parte dei casi insulina e indice glicemico sono correlati in maniera abbastanza lineare, ci sono però alcuni alimenti che alterano questa proporzionalità. La combinazione di zuccheri e grassi idrogenati, ad esempio, rispetto al loro indice glicemico stimola in maniera abnorme la produzione di insulina.
Dopo l'assunzione di zuccheri semplici (glucosio, destrosio, fruttosio, maltosio, lattosio, galattosio, disaccaridi, lattulosio, lattitolo, ecc.), come potrebbero essere quelli contenuti in una caramella, si verifica un repentino aumento del glucosio nel sangue (picco glicemico). Questo accade perché nella caramella sono contenuti dei carboidrati semplici (zuccheri) che vengono assorbiti immediatamente a livello ematico. I carboidrati più complessi, ad esempio quelli contenuti nella pasta e nel pane, devono essere invece prima metabolizzati.
Comprendere questo processo, delle oscillazioni dei livelli di glucosio nel sangue durante la giornata, non è importante solo per le persone con diabete ma anche in quei casi in cui si vuole dimagrire o si vuole prevenire l'aumento di peso. I glucidi, spesso chiamati impropriamente carboidrati, quando arrivano nell'apparato gastrointestinale vengono digeriti e trasformati in glucosio. Se un pasto è particolarmente ricco di carboidrati, la glicemia (concentrazione di glucosio nel sangue) sarà alta. Una glicemia alta stimola il pancreas che, a sua volta, inizia a produrre insulina.
L'insulina è un ormone molto importante perché favorisce l'utilizzo del glucosio da parte di tutte le cellule dell'organismo. Stimola il processo della lipogenesi, il processo che determina l'accumulo di grasso dalla conversione dei carboidrati alimentari, ed inibisce la lipolisi (la mobilizzazione dei grassi dai depositi adiposi) quando c'è un immediata disponibilità di glucosio, ed è quindi inutile utilizzare le riserve energetiche. In pratica, possiamo dire che l'insulina gestisce quelle situazioni dove c'è un'abbondanza di risorse energetiche favorendo l'accumulo di quelle in eccesso e bloccando l'utilizzo delle riserve.
Proprio per questo suo comportamento, la scienza spesso definisce l'insulina "l'ormone dell'abbondanza" e il glucagone "l'ormone della carestia". Grazie all'insulina, l'organismo riesce a riportare la glicemia a livelli normali. Tale risultato si raggiunge facendo utilizzare il glucosio alle cellule per produrre energia e, se ne rimane in eccesso, facendolo depositare sotto forma di grasso.
Un picco glicemico troppo elevato, superiore a 180 mg/dl nel caso di un adulto (anche se si considera ottimale un valore al di sotto dei 140 mg/dl), è solitamente associato ad una condizione di diabete o una ridotta tolleranza al glucosio (IGT). Tali valori di riferimento variano però a seconda della fascia d'età, negli adolescenti il picco glicemico non deve superare i 200 mg/dl, nei bambini in età scolare l'asticella sale a 225 mg/dl mentre nella prima infanzia non ci si deve preoccupare se si sta sotto ai 250 mg/dl.
Sintomi picchi glicemici
Il picco glicemico, e più in generale l'iperglicemia, non da alcun sintomo. Proprio per questo motivo il diabete, patologia cronica secondaria alla persistente iperglicemia, è considerata una malattia subdola. Nella maggior parte dei casi i primi segni compaiono dopo diverso tempo, quando la malattia è ormai presente da anni. Un'iperglicemia severa potrebbe essere caratterizzata dai seguenti sintomi:
Astenia (sensazione di stanchezza fisica simile a quella provata dopo una fatica eccessiva)
Dolori addominali
Malessere generale
Perdita di peso involontaria (a volte in concomitanza ad un aumento dell'appetito)
Polidipsia (aumento della sete)
Poliuria (aumento della diuresi)
Anche se dei picchi glicemici occasionali (superiori ai valori riportati in precedenza ) non sono sintomo di diabete, se i segnali appena descritti si presentano di continuo, la malattia potrebbe essere già conclamata. Molte persone affette da diabete hanno spesso sete, sopratutto quando si trovano in iperglicemia, e, nonostante si beva molto, si continua ad avere la sensazione di bocca secca oltre ad un bisogno costante di dover urinare. Altri campanelli d'allarme da non sottovalutare sono la vista offuscata, frequenti stati di sonnolenza, o stanchezza, e la perdita di peso nonostante un insolito aumento della fame.
Prevenire il picco glicemico
Sopratutto le persone diabetiche si preoccupano per un eventuale picco glicemico post prandiale superiore a 180, tale preoccupazione è molto sentita in particolar modo in chi è affetto da diabete di tipo 1 (soggetti che non producono insulina e, di conseguenza, devono iniettarsela prima di mangiare per cercare di mantenere sotto controllo la glicemia). In campo diabetologico, da diversi anni, si stanno studiano dei componenti dietetici che, senza dover rinunciare alla pasta o al pane, potrebbero contribuire ad evitare i picchi glicemici che nel lungo periodo possono compromettere la circolazione del sangue nelle persone con diabete (situazione collegata alla maggior parte delle complicazioni della malattia).
Un'interessante informazione arriva da uno studio italiano realizzato da un gruppo di ricercatori dell'Azienda Ospedaliera Universitaria Federico II di Napoli. La ricerca è stata pubblicata Diabetes Care (Extra-Virgin Olive Oil Reduces Glycemic Response to a High-Glycemic Index Meal in Patients With Type 1 Diabetes: A Randomized Controlled Trial - Doi: 10.2337/dc15-2189), probabilmente la più importante rivista scientifica sul diabete.
In un'indagine dove è stato utilizzato come grasso di condimento il burro e l'olio di oliva extravergine, si è visto che quest'ultimo contribuisce a ridurre sensibilmente il picco glicemico dopo il pasto. Secondo gli esperti, le persone diabetiche possono avere un grande giovamento se utilizzano abitualmente olio extravergine di oliva per la preparazione dei pasti. Considerando che si tratta comunque di una fonte di energia, anche se sono dei "grassi buoni" è bene utilizzarlo con moderazione poiché un abuso potrebbe favorire il sovrappeso.
Un altro modo per ridurre il picco glicemico può essere quello di invertire l'ordine delle portate. Un risultato osservato nel corso di un altro studio italiano condotto da un gruppo di ricercatori dell'Università di Pisa. Se si inizia il pasto con un antipasto proteico, e dopo si mangia pane o pasta, si riesce ad abbassare il picco glicemico post prandiale anche del 30 per cento. Se si vogliono avere invece informazioni sulla frutta, vi rimandiamo alla lettura dell'articolo: Frutta per diabetici e per prevenire il diabete.
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