Cura Alzheimer con Aducanumab
Una cura per l'Alzheimer che prevede l'uso del farmaco Aducanumab è in grado di ridurre considerevolmente le placche amiloidi, degli agglomerati insolubili di proteina che si depositano nel cervello e alterano le comunicazioni tra le sinapsi. Nel corso della sperimentazione si è osservato che dopo un anno di terapia il numero di placche amiloidi era sensibilmente diminuito, tale situazione ha comportato un sensibile rallentamento del declino cognitivo, i dati attualmente raccolti non permettono però di dire se l'Aducanumab è anche in grado di far regredire i sintomi. Lo studio è stato pubblicato su Nature (The antibody aducanumab reduces A-Beta plaques in Alzheimer's disease - doi: 10.1038/nature19323).
Attualmente il morbo di Alzheimer rappresenta la più comune forma di demenza neurodegenerativa, una malattia che solitamente inizia a manifestarsi dopo i 65 anni. Dietro a questa patologia ci sono alcune alterazioni genetiche che favoriscono la sintesi di due proteine, la tau e la beta-amiloide, che giocano un ruolo centrale nella formazione di ammassi in grado di distruggere i neuroni. Da diverso tempo numerosi ricercatori stanno studiando il modo di bloccare la proliferazione di queste due proteine al fine di prevenire alcuni sintomi caratteristici della patologia quali: disturbi delle memoria recente, problemi di concentrazione, difficoltà di orientamento nello spazio e nel tempo e progressiva perdita dell'autonomia.
Jeff Sevigny, primo autore della ricerca che ha sperimentato l'Aducanumab (un anticorpo monoclonale) in una terapia per l'Alzheimer, spiega che dopo un anno di somministrazione del farmaco il livello delle placche amiloidi, monitorato mediante una tomografia a emissione di positroni (PET), era sensibilmente ridotto. Il risultato è molto importante perché attualmente non si dispone di nessuna cura efficace contro l'Alzheimer e questa si è dimostrata utile nel rallentare il declino cognitivo, un processo di deterioramento normalmente inarrestabile che porta man mano alla perdita dell'autonomia.
Il trial clinico condotto sull'uomo ha per il momento coinvolto 165 persone con un declino cognitivo moderato, pazienti con un morbo di Alzheimer lieve o in fase precoce. I volontari sono stati divisi in due gruppi , ad uno sono state somministrate per via endovenosa differenti dosi del farmaco a cadenza regolare, all'altro è stato invece somministrato un placebo, la terapia è durata complessivamente 54 settimane.
Al termine dello studio i ricercatori hanno potuto constatare, mediante PET (tomografia a emissione di positroni), una considerevole riduzione dell'estensione delle placche amiloidi nel cervello nei volontari che hanno ricevuto l'Aducanumab. Si è inoltre osservata una relazione diretta con il dosaggio del farmaco, maggiori erano le dosi maggiore era la riduzione delle placche. La terapia non è però attualmente somministrabile a tutti, del totale dei pazienti 40 di esse hanno dovuto interrompere il trattamento e 20 di essi lo hanno fatto a causa di effetti collaterali. In alcune persone che prestavano una particolare variante genetica si è rilevato un accumulo di fluidi nel cervello che in qualche caso ha portato a forti emicranie con conseguente sospensione del trattamento.
Ora i ricercatori sono già a lavoro per condurre un trial clinico di fase III nel quale verrà coinvolto un numero più ampio e significativo di pazienti, circa 2700, con Alzheimer lieve e moderato. Nel nuovo studio bisognerà confermare i dati ottenuti fino ad ora e si valuterà inoltre se l'Aducanumab è anche in grado di diminuire i sintomi della patologia. Verso il 2020, se i dati sull'efficacia e la sicurezza saranno confermati , si potrebbe avere una prima terapia efficace contro l'Alzheimer.
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