Terapia per la sindrome di down in gravidanza
Una terapia per la trisomia 21 in gravidanza potrebbe contrastare il deterioramento dei neuroni limitando notevolmente alcuni sintomi della sindrome di down. Una cura a base di fluoxetina, il principio attivo di un farmaco antidepressivo molto noto (Prozac) appartenente alla classe degli inibitori selettivi della ricaptazione di serotonina (o SSRI), ha dato degli ottimi risultati in una sperimentazione condotta su dei modelli animali. Tali risultati, pubblicati nel 2014 dalla rivista Brain (Prenatal pharmacotherapy rescues brain development in a Down's syndrome mouse model - Doi: 10 1093 / brain / awt340), hanno aperto la strada alla sperimentazione che a fine mese (Gennaio 2016) partirà sull'uomo.
Il MIT Technology Review, la rivista ufficiale del Massachussets Institute of Technology (un'università Statunitense dove ha sede il Media Lab) che seleziona e documenta le più importanti innovazioni tecnologiche valutandone il concreto impatto sulla vita quotidiana, riferisce che presso l'University of Texas Southwestern Medical Center di Dallas partirà una sperimentazione che coinvolgerà 21 donne incinte ai cui bimbi è stata rilevata la trisomia 21 in sede di diagnosi prenatale.
Delle 21 donne reclutate per lo studio texano, 14 dovranno seguire una terapia a base di fluoxetina durante le settimane di gestazione, le restanti 7 serviranno invece come gruppo di controllo e assumeranno un placebo. Dopo la nascita, i bambini continueranno ad assumere il Prozac fino ai 2 anni e verranno sottoposti a dei controlli con intervalli regolari. Confrontando i risultati dei test cognitivi e analizzando le immagini della risonanza magnetica, si cercherà di capire se il Prozac può portare degli effettivi miglioramenti, e in che misura, nelle persone con trisomia 21.
Stando ad alcuni dati riportati sul MIT Technology Review, negli USA ci sarebbero già 200 bambini con la sindrome di down che stanno assumendo il farmaco, attualmente però mancano degli studi sull'uomo che comprovino l'efficacia del trattamento dal punto di vista scientifico. C'è quindi grande attesa per i risultati dell'indagine che sta per iniziare. L'obiettivo è quello di verificare se il Prozac è in grado di prevenire i sintomi della malattia nei neonati o migliorare lo sviluppo cerebrale riducendo alcuni degli effetti della trisomia 21. Lo studio è co-finanziata da Paul Watson, un pilota americano padre di un ragazzo con la sindrome di Down. Lo stesso Watson, in un'intervista rilasciata al MIT Technology Review, ha riferito di aver somministrato il farmaco anti-depressivo al figlio per 3 anni con buoni risultati a livello cognitivo (osservazioni importanti che non hanno però nessuna valenza scientifica).
A breve anche in Italia, a Napoli, partirà una sperimentazione che coinvolgerà alcuni bambini con un'età compresa tra i 5 e i 10 anni. Renata Bartesaghi, docente del Dipartimento di Scienze Biomediche e Neuromotorie dell'università di Bologna, spiega che i due difetti principali nella sindrome di Down sono un deficit nella produzione di neuroni e il fatto che i neuroni si sviluppano in maniera sbagliata. Precedenti studi hanno evidenziato che nel cervello delle persone con trisomia 21 c'è un difetto nel neurotrasmettitore serotonina, un elemento cruciale per la maturazione cerebrale e la neurogenesi. Si è quindi ipotizzato che la fluoxetina, che inibisce la ricaptazione della serotonina mantenendola nel cervello, potesse dare dei benefici.
Sebbene nei topi la sperimentazione ha dato ottimi risultati, portando a un aumento dei neuroni e a un miglioramento delle capacità cognitive, sull'uomo tutto è ancora da dimostrare. Gli esperti spiegano che non è detto che nell'uomo l'effetto sia lo stesso, fino alla dimostrazione non si possono quindi illudere le famiglie.
Aumentando i livelli di serotonina durante il periodo della gravidanza, i piccoli con diagnosi di sindrome di Down potrebbero nascere con un cervello più vicino a uno in grado di funzionare normalmente. L'esperimento italiano sarà diverso da quello texano, lo studio coinvolgerà bambini con un'età compresa tra i 5 e i 10 anni, un periodo in cui la neurogenesi è conclusa ma comunque critico per lo sviluppo cerebrale e lo stabilirsi delle connessioni sinaptiche. Non rimane che attendere i risultati consapevoli comunque del fatto che lo studio del University of Texas Southwestern Medical Center coinvolge un numero limitato di persone e, se i i dati saranno positivi, bisognerà condurre un trial clinico con un numero più ampio di partecipanti.
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