Cura per le metastasi al fegato
Le metastasi al fegato si possono curare con una terapia genetica in grado di potenziare le difese immunitarie dell'organismo. Se fino a qualche anno fa una diagnosi di metastasi al fegato poteva rendere il cancro del tutto incurabile oggi, grazie ai progressi in campo medico, le prospettive di guarigione non sono sempre pessimistiche. Un gruppo di ricercatori dell'Ospedale San Raffaele di Milano ha messo a punto una terapia che stimolare le cellule immunitarie normalmente presenti nell'organismo (i globuli bianchi) a produrre interferoni (IFN). Nello specifico, gli esperti hanno messo a punto una tecnica in grado di contrastare le metastasi al fegato causate dai tumori del colon-retto. I risultati dello studio sono stati pubblicati su Embo Molecular Medicine (IFNa gene/cell therapy curbs colorectal cancer colonization of the liver by acting on the hepatic microenvironment - DOI: 10 15252 / emmm 201505395 - Gennaio 2016).
Le metastasi sono cellule maligne che si staccano dal tumore originario e si diffondono in altri organi dove possono riprodursi e generare nuovi tumori, il fegato è tra gli organi più frequentemente colpiti da metastasi originate da tumori maligni che insorgono in tutte le parti del corpo. Ma perché il fegato è spesso interessato dalle metastasi? Il fegato è tra gli organi più complessi del corpo umano per la quantità e varietà delle sue funzioni, il suo compito di filtraggio (filtra circa due litri di sangue al minuto) lo espone però a un maggiore contatto con le cellule cancerose che potrebbero circolano nel sangue. Le cellule maligne, dopo essersi staccate da tumori localizzati in varie aree del corpo, entrano nella circolazione sanguigna e giungono al fegato dove possono dare origine alle metastasi. Nella maggior parte dei casi, le cellule cancerogene che generano le metastasi al fegato provengono da tumori del colon, dell'intestino tenue, del seno, del polmone e del rene.
Mario Catarinella, primo autore dello studio, spiega che precedenti studi hanno evidenziato che i macrofagi (noti anche come istiociti o istociti), cellule del sangue che derivano dai globuli bianchi e normalmente sono presenti in numero limitato, sono richiamati dal circolo sanguigno in grande numero quando insorge un tumore. Partendo da questa osservazione si è pensato quindi di utilizzare proprio i macrofagi come armi per mettere a punto una terapia anti tumorale.
Sfruttando delle tecniche di ingegneria genetica, che permettono di conferire caratteristiche nuove alle cellule, i ricercatori hanno inserito nelle cellule staminali ematopoietiche (note anche come emocitoblasti, delle cellule madri dalle quali nascono tutti gli elementi del sangue) un gene che svolge attività anti-tumorale nelle cellule che da queste si sviluppano. Il gene in questione è l'interferone alfa, una proteina prodotta dal nostro organismo in quantità molto piccole in risposta alle infezioni.
Giovanni Stia, coordinatore dello studio, evidenzia che l'interferone, una volta nel fegato, agisce sul microambiente epatico riducendo precocemente la crescita e la colonizzazione metastatica e, in seguito, favorendo la risposta immunitaria contro le metastasi da colon-retto. Sebbene l'interferone alfa può essere prodotto sinteticamente in laboratorio e somministrato come terapia antitumorale allo scopo di stimolare il sistema immunitario a combattere contro le cellule neoplastiche, attualmente il suo uso clinico è molto limitato a causa di una elevata tossicità se somministrato per via sistemica (quando il farmaco agisce su bersagli distanti dalla sede di somministrazione). Grazie alla tecnica messa punto, le cellule ingegnerizzate possono esercitare la loro funzione anti-tumorale in maniera localizzata nelle zone cancerose evitando gli effetti tossici della somministrazione sistemica dell'interferone sull'organismo.
Anche se le cellule modificate sono state testate per il momento solo su dei modelli animali, i risultati ottenuti sono molto incoraggianti. Una volta nel fegato, l'interferone agisce sul microambiente epatico, riducendo precocemente la crescita e la colonizzazione metastatica e in seguito favorendo la risposta immunitaria contro le metastasi da colon-retto. Si è inoltre rilevato che l'ingegnerizzazione dei macrofagi, e la conseguente produzione specifica di interferone, è in grado di conferire protezione a lungo termine in modelli preclinici murini senza causare apparenti effetti collaterali o incapacità a rispondere adeguatamente a infezioni virali sistemiche.
Gli autori dello studio concludono spiegando che i risultati ottenuti forniscono una prova incoraggiante dell'efficacia e sicurezza della strategia nei modelli sperimentali. Adesso saranno per necessari ulteriori studi preclinici, il loro scopo sarà quello di valutare quali pazienti con metastasi epatiche da tumori del colon-retto possano meglio beneficiare di questa terapia genica e preparare la sperimentazione clinica che potrebbe cominciare tra qualche anno.
Metastasi al fegato, le cure attualmente disponibili
La terapia che sfrutta le cellule ingegnerizzate con l'interferone alfa purtroppo sarà utilizzabile sull'uomo solo tra qualche anno, attualmente ci sono però altre tecniche utili per curare le metastasi al fegato. Quando il loro numero e la loro dimensione è limitata si può ricorrere alla chirurgia. In alcuni casi i noduli possono essere asportati nel corso dell'intervento principale di rimozione del tumore al colon o in una fase successiva dopo una particolare chemioterapia nota come chemioterapia neoadiuvante (una tecnica che ha l'obiettivo di ridurre il volume delle metastasi così da poterle poi asportare più facilmente e con meno rischi).
In alcuni casi le metastasi non possono essere asportate chirurgicamente, in queste situazioni si può in ogni modo far riscorso a dei trattamenti localizzati volti a ridurre le dimensioni e per tenere sotto controllo la malattia.
Spesso, sopratutto quando il tumore principale ha sede nel polmone, nel seno o si tratta di un melanoma, le metastasi al fegato possono essere eliminate mediante il calore veicolato da onde laser (laser terapia), da microonde che surriscaldano la massa (ablazione a microonde) o onde radio (ablazione a radiofrequenza). Rispetto al passato oggi si ricorre molto raramente alla crioablazione (l'utilizzo di una fonte fredda per eliminare le cellule cancerogene). La scelta della tecnica possono dipendere dalle attrezzature e dall'esperienza del centro a cui ci si rivolge ma anche dalle caratteristiche del singolo paziente.
In alcuni casi dove le metastasi non possono essere asportate chirurgicamente si ricorre alla radioembolizzazione (Selective Internal Radiotherapy Therapy, SIRT). Mediante l'introduzione di un catetere nell'arteria epatica, si inietta prima un mezzo di contrasto per individuare esattamente la massa tumorale e successivamente, attraverso lo stesso catetere, si indirizza al nodulo una dose di microsfere radioattive sufficiente a colpirlo, una tecnica che permette di ridurre notevolmente il danno al tessuto sano circostante.
In altri casi si ricorre alla chemioterapia neoadiuvante (in preparazione all'intervento) o alla chemioterapia adiuvante (dopo l'intervento chirurgico). Attualmente nella chemioterapia sistemica vengono utilizzati nuovi farmaci mirati e molto efficaci, come l'oxaliplatino o l'irinotecan, che hanno permesso di migliorare notevolmente l'aspettativa di vita dei pazienti, anche di quelli non operabili, portatori di metastasi da tumore del colon-retto.
Raramente, in casi ben selezionati, si può far ricorso anche alla radioterapia per tenere sotto controllo metastasi che non possono essere operate e sono troppo grandi per essere trattate con le procedure di ablazione descritte precedentemente. Con le nuove tecniche di radioterapia è possibile convogliare le radiazioni solo sul tumore preservando buona parte dei tessuti sani.
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