Perdita della memoria, neuroni oceano e Alzheimer
La perdita della memoria, un disturbo spesso correlato all'invecchiamento, è un problema che può essere transitorio o cronico, nuove informazioni sull'argomento arrivano da una ricerca del RIKEN-MIT Center for Neural Circuit Genetics. Dietro a dei vuoti di memoria improvvisi ci potrebbe essere un malfunzionamento dei neuroni oceano, una specifica popolazione di neuroni che si trova nel lobo temporale del cervello. I risultati dello studio sono stati pubblicati sulla rivista Neuron (Entorhinal Cortical Ocean Cells Encode Specific Contexts and Drive Context-Specific Fear Memory - DOI: 10 1016 / j neuron 2015 08 036 - Settembre 2015).
In alcuni casi la perdita di memoria può essere un problema di poco conto associato per lo più all'invecchiamento, a volte, però, può trattarsi di un disturbo più grave correlato a una malattia, per esempio un principio di Alzheimer. Altre situazioni che potrebbero portare a dei vuoti di memoria frequenti sono: trauma cranico, ictus, interventi chirurgici al cervello, trattamenti antitumorali, carenza vitaminica (in particolare vitamina B12), assunzione di alcolici o uso di particolari farmaci (es. barbiturici).
Takashi Kitamura, primo autore dello studio, spiega che i ricordi degli eventi della nostra vita sono fortemente collegati ai contesti in cui si sono verificati. La correlazione tra i ricordi degli eventi della vita quotidiana e gli elementi dell'ambiente in cui si sono svolti dipende da una specifica popolazione di neuroni battezzati cellule oceano. Si tratta di unità che ci permettono di orientarci nello spazio e nel tempo e di creare ricordi a breve e lungo termine. Quanto scoperto potrebbe essere molto utile nell'ambito della diagnosi precoce di malattie neurodegenerative quali ad esempio l'Alzheimer.
A molti sarà capitato di ricordare qualcosa che si era dimenticato dopo esser ritornati sui propri passi. Fino ad oggi molti ritenevano che fosse l'ipocampo a generare informazioni specifiche per il contesto, i nuovi dati dimostrano però che questo tipo d'informazione è già formata nella corteccia entorinale prima che raggiunga l'ippocampo.
Grazie a una particolare tecnica di imaging, adottata per misurare i livelli di ioni calcio, è stata visualizzata l'attività cerebrale in un gruppo di topi. I dati raccolti hanno permesso di identificare nella corteccia entorinale, una parte della formazione dell'ippocampo situata bilateralmente nelle regioni mediali dei lobi temporali, due popolazioni distinte di cellule battezzate "oceano" e "isola" (Ocean cells e Island cells). Ponendo i topolini in due scatole con caratteristiche differenti si è rilevato che le cellule della corteccia entorinale si attivavano secondo due modalità differenti. Mentre le cellule isola si attivavano indipendentemente dal contesto, le cellule oceano risultavano essere più o meno attive a seconda della scatola, tale dato evidenzia che le cellule oceano "distinguono" diversi contesti ambientali.
In pratica nell'ipocampo si rilevava una differente attività a seconda dell'ambiente dove i topi venivano inseriti , non vi era però nessuna attività specifica quando le cellule oceano venivano disattivate artificialmente dai ricercatori. Tale situazione non veniva invece rilevata quando si agiva sulle cellule isola. Un aspetto che dimostra che solo le cellule oceano sono responsabili dell'identificazione di un contesto e dell'invio di questa informazione all'ippocampo. Secondo Takashi Kitamura, in base ai dati raccolti, si può concludere che le cellule oceano contribuiscono a elaborare le informazioni di un'esperienza che riguarda il contesto, mentre le cellule isola contribuiscono all'informazione temporale.
Queste informazioni potrebbe essere molto utili nella diagnosi precoce dell'Alzheimer. Considerando che l'ippocampo è una delle prime regioni del cervello a soffrire dei danni della malattia neurodegenerativa, la perdita di neuroni in quest'area avviene già nelle prime fasi della malattia di Alzheimer, comprendere come le cellule oceano e isola contribuiscono a formare la memoria può aiutare a sviluppare marcatori per migliorare la diagnosi precoce di questa malattia.
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