Alzheimer: sintomi neuroinfiammatori e intestino
Nel morbo di Alzheimer i sintomi neuroinfiammatori potrebbero regredire, fino alla scomparsa, grazie a una tossina prodotta da un batterio presente nell'intestino. In uno studio parzialmente supportato dall'Italia-USA Collaboration Program, si č scoperto che gli Escherichia Coli, dei batteri che si trovano anche nel tratto digestivo di noi umani, potrebbero avere un ruolo chiave nella ricerca di una terapia efficace contro alcune malattie neuroinfiammatorie legate all'etą come ad esempio l'Alzheimer. I risultati della ricerca sono stati pubblicati su PLoS One (CNF1 Increases Brain Energy Level, Counteracts Neuroinflammatory Markers and Rescues Cognitive Deficits in a Murine Model of Alzheimer's Disease - doi: 10.1371 / journal pone 0065898.s001 - Maggio 2013).
La ricerca che potrebbe aprire la strada a una possibile cura per l'Alzheimer č frutto di una collaborazione tra i ricercatori del Dipartimento del Farmaco dell'Istituto Superiore di Sanitą con i ricercatori del Dipartimento di Farmacia e Biotecnologie e del Dipartimento di Scienze mediche e chirurgiche dell'Universitą di Bologna. Gli studiosi spiegano che una tossina prodotta da un ceppo di E. Coli č in grado di far regredire i sintomi della malattia e di migliorare sensibilmente il profilo dei marcatori tipici della demenza avanzata.
Nel corso di precedenti studi, che avevano come target la sindrome di Rett, si era scoperto che una particolare tossina, nota come Cnf1, era in grado di stimolare la plasticitą delle cellule nervose, contrastare i deficit cognitivi e migliorare la coordinazione motoria in un modello animale che presentava caratteristiche che nell'uomo comportano gravi ritardi nell'acquisizione del linguaggio, della coordinazione motoria e ritardo mentale grave o gravissimo.
Gabriele Campana e Roberto Rimondini-Giorgini, coordinatori del gruppo dell'Universitą di Bologna, spiegano che partendo dalle informazioni gią in loro possesso si č compiuto un ulteriore passo in avanti somministrando la tossina ai topi normalmente utilizzati come modelli animali per studiare l'Alzheimer. Dopo la somministrazione della Cnf1 si č innescato un processo che ha portato alla diminuzione dei marcatori dell'infiammazione ma non solo, sono diminuiti anche i livelli di Atp (adenosine triphosphate), una sostanza importante nella malattia, e le proteine beta amiloidi, proteine che nell'Alzheimer si depositano fino a formare le tipiche placche che devastano intere aree cerebrali.
In una fase successiva dello studio i ricercatori hanno valutato gli effettivi miglioramenti della terapia sottoponendo gli animali trattati ad una serie di esami funzionali: test per valutare la memoria, l'orientamento spaziale e la coordinazione. I risultati sono stati molto soddisfacenti in quanto tutti i topi sottoposti alla terapia hanno fatto registrare un netto miglioramento rispetto al gruppo dei topi non trattati.
I ricercatori spiegano che ora bisognerą condurre ulteriori studi, se i risultati saranno confermati ci potrebbero essere importanti sviluppi non solo nella cura della malattia di Alzheimer ma per tutta una serie di malattie ancora oggi senza cura che hanno alla basa questo tipo di infiammazione. Per tutelare i risultati raggiunti i ricercatori hanno gią registrato un primo brevetto e sperano di poter arrivare nel minor tempo possibile alla sperimentazione sull'uomo.
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