Alzheimer e ritardi mentali: proteina batterica CNF1
Grazie a una proteina batterica sarà forse possibile realizzare una nuova terapia utile contro i ritardi mentali e la malattia di Alzheimer. In seguito ad alcuni esperimenti si è riscontrato che la somministrazione della proteina batterica CNF1 ("fattore citotossico necrotizzante uno") era in grado di migliorare le capacità d'apprendimento e mnemoniche di alcune cavie. I dettagli dello studio sono stati pubblicati sui Proceedings della National Academy of Science, nel testo viene descritto il meccanismo in base al quale la morfologia e la connessione delle cellule del sistema nervoso centrale sono state modificate in topi giovani e sani somministrando il CNF1.
I test hanno evidenziato che la proteina batterica CNF1 riusciva a modulare la morfologia del citoscheletro (ossia di quella struttura formata da fibre proteiche che dà sostegno e forma alla cellula), inoltre potenziava l'efficacia delle connessioni tra le cellule nervose. Lo studio, diretto da Stefano Vella dell'Istituto Superiore di Sanità, è stato coordinato dal neurologo Giovanni Diana e dalla microbiologa cellulare Carla Fiorentini, del Dipartimento del Farmaco. La proteina CNF1, derivata dall'Escherichia Coli, era stata scoperta nel 1983 presso l'Istituto Superiore di Sanità.
La CNF1 riesce ad aumentare significativamente il numero e le dimensioni delle spine dendritiche, delle strutture specializzate dove il dendrite riceve il contatto sinaptico da altre cellule neuronali, favorendo la trasmissione tra neuroni e migliorando la plasticità sinaptica, un fenomeno che è alla base delle capacità di apprendimento e della memoria.
Poiché è noto che nelle diverse forme di ritardo mentale come pure nel morbo di Alzheimer i prolungamenti dendritici sono meno ramificati rispetto alla norma e le spine dendritiche, le quali ricevono la maggior parte delle sinapsi eccitatorie, appaiono alterate e ridotte di numero e dimensioni, è possibile prevedere un impiego terapeutico della proteina CFN1 nel trattamento delle varie forme di demenza e di disturbi neurologici, senza escludere un potenziale effetto positivo sulle capacità cognitive di individui sani attraverso una manipolazione farmacologica della connettività neurale.
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