Attacchi di panico, maggiori rischi in ambienti chiusi
Gli attacchi di panico possono essere legati a diversi fattori, fra questi vi è il tipo di aria dell'ambiente dove si trova l'individuo. Sembra, infatti, che un'alta concentrazione nell'aria di anidride carbonica (CO2) possa essere uno dei fattori scatenanti degli attacchi di panico, un disturbo che colpisce in maniera ricorrente l'1,5 per cento degli italiani.
Lo studio, che ha messo in correlazione la concentrazione di CO2 nell'aria e l'incidenza dei casi di attacchi di panico, è stato condotto da Rosario Sorrentino, neurologo e direttore presso la Clinica Pio XI di Roma dell'Istituto Ricerca e Cura Attacchi di Panico (IRCAP). L'indagine pilota, che per il momento ha interessato solo la Capitale, ha evidenziato che esistono luoghi a più alto rischio in cui l'anidride carbonica è più elevata come metropolitana, taxi e aereoporti.
Gli attacchi di panico fanno parte della famiglia dei disturbi d'ansia e statisticamente colpiscono in prevalenza le donne, in particolare quelle che hanno una professione manageriale. Ci sono casi di attacchi di panico sporadici e occasionali ma quando le crisi si presentano quotidianamente, settimanalmente o mensilmente vuol dire che si è ormai sofferenti della sindrome da attacco di panico (DAP).
Fra i principali sintomi dell'attacco di panico troviamo: sensazione di distacco dalla realtà, sensazione di essere sul punto di svenire, palpitazioni, sudorazione, intensi brividi, modificazione dell'equilibrio, offuscamento della vista, senso di soffocamento. In determinati casi si potrebbero verificare anche dei disturbi gastrointestinali. Secondo gli esperti, i rischi maggiori vengono corsi da quelle persone geneticamente predisposte che frequentano quegli ambienti dove la concentrazione di anidride carbonica è più alta, una situazione che nei più giovani potrebbe comportare anche una difficoltà di apprendimento.
Non sempre gli attacchi di panico vengono diagnosticati correttamente, spesso, infatti, viene scambiato per qualcos'altro come ad esempio una colica addominale, una crisi ipertensiva o anche per una tachicardia improvvisa.
In base ai risultati dell'indagine si è evidenziato che in persone geneticamente predisposte, più suscettibili e ipersensibili all'anidride carbonica, tassi elevati di CO2 allertano i chemiorecettori localizzati nel bulbo cerebrale inviando impulsi al locus coeruleus. Questo centro, a sua volta, fa scattare immediatamente il vero sensore dell'attacco di panico, rappresentato nel cervello dall'amigdala, andando incontro ad una crisi improvvisa e imprevedibile. Successivamente, l'individuo sente un istinto insopprimibile e urgente di trovare una via di fuga per allontanarsi dal luogo scatenante della crisi di panico.
Sorrentino ha spiegato che senza dubbio alla base di un attacco di panico c'è quindi una predisposizione genetica, questo non è però sufficiente a candidare una persona, rispetto ad un'altra, ad avere questo disturbo se non intervengono altre condizioni sfavorevoli come ad esempio sostare in un'area dove i livelli di anidride carbonica sono più elevati.
Secondo Livio de Santoli, Ordinario di Impianti Tecnici all'Università di Roma La Sapienza, una possibile soluzione per limitare delle situazioni a rischio potrebbe essere quella di monitorare la chimica dell'ambiente nei luoghi chiusi, in particolare quelli più affollati e dove l'aria non viene adeguatamente ricambiata. L'esperto spiega che esistono degli strumenti molto sofisticati che rivelano in tempo reale il tasso di anidride carbonica. Nel momento in cui viene rilevato un tasso di CO2 elevato, attraverso un sistema di ventilazione si potrebbe effettuare il ricambio d'aria riportando la concentrazione di anidride carbonica a livelli accettabili. Tutto questo non solo a tutela delle persone geneticamente predisposte ma anche di quanti potrebbero con il tempo sensibilizzarsi a questo gas.
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