Caffè in capsule, ftalati e rischi per la fertilità
Se consumate abitualmente caffè in capsule (sia in plastica che in alluminio), o in cialde, dovete tenere a mente che disciolti nella miscela ci potrebbero essere degli interferenti endocrini che alterano la funzionalità del sistema endocrino. Il caffè possiede diverse proprietà benefiche per il nostro organismo, molte volte, per praticità, alla moka si preferisce però la macchinetta per il caffè a cialde o a capsule. Questa pratica nasconde però delle insidie in quanto potrebbe alzare i livelli di ftalati nel nostro organismo, un'eventualità che può mettere in pericolo la fertilità. Dell'argomento si è occupato Carlo Foresta, ordinario di Endocrinologia presso l'Università degli Studi di Padova, in collaborazione con il CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche).
Nel corso dello studio sono stati valutati i quantitativi di ftalati presenti nel caffè, i risultai sono stati tutt'altro che rassicuranti. Tutte le miscele esaminate, ottenute dalle cialde biodegradabili, dalle capsule in alluminio e da quelle in plastica, presentavano una certa percentuale di ftalati. Sebbene la concentrazione rilevata è al di sotto della soglia ritenuta nociva dalle autorità sanitarie, bisogna tenere a mente che tali sostanze non vengono introdotte nel nostro organismo solo con il caffè ma anche con altri alimenti. Se proprio non possiamo fare a meno del caffè, potremo almeno limitare l'utilizzo delle macchinete che utilizzano dei preparati per il caffè predosati.
Per chi non lo sapesse, gli ftalati sono delle sostanze chimiche che permettono di migliorare la flessibilità delle materie plastiche. Il PVC, in termini di volume di produzione, rappresenta la principale materia plastica dove essi sono contenuti. Esistono diversi tipi di ftalati, quelli più comunemente adoperati nel PVC flessibile sono: DINP (di-isononilftalato) e DEHP (di-2-etilesilftalato). In seguito ad alcuni studi si è scoperto che il DEHP è dannoso per la riproduzione dei mammiferi e può interferire nello sviluppo testicolare durante i primi anni di vita. Queste evidenze scientifiche hanno portato a classificare molti ftalati come tossici per la riproduzione e il loro uso è stato notevolmente limitato.
L'utilizzo degli ftalati, in Europa, è stato limitato anche nella produzione dei giochi. La concentrazione nei giocatoli non deve essere superiore allo 0,1 per cento, tale restrizione è stata successivamente estesa a tutti i prodotti destinati all'infanzia. Il motivo di questo limite risiede nel comportamento dei più piccoli che potrebbero masticare, o succhiare per periodi prolungati, oggetti che contengono ftalati. Un'informazione da non trascurare che fa capire perché è importante non acquistare giocatoli, e altri prodotti, importati da paesi, come ad esempio la Cina, dove le leggi sono meno restrittive. Molti potrebbero obiettare che la maggior parte dei giocatoli sono prodotti in Cina, bisogna però considerare chi c'è dietro alla produzione. Se sono prodotti da aziende italiane o europee, anche se le fabbriche sono delocalizzate, devono attenersi a queste indicazioni.
Tornando in ambiente alimentare, le cialde e le capsule per il caffè non sono l'unico veicolo di contaminazione da ftalati nel cibo. Gli alimenti possono essere contaminati in seguito alla migrazione da polimeri contenenti ftalati quando essi sono a contatto con determinati materiali usati per lo stoccaggio o il confezionamento. Tra PVC e ftalati non vi è un legame stabile e irreversibile. Sopratutto in caso di contatto con alimenti grassi e/o oleosi, essi tendono a fuoriuscire dal PVC e migrano verso l'alimento. Una direttiva europea del 2007 ha stabilito alcune regole relative all'utilizzo di materiali contenenti ftalati in ambito alimentare, essi possono essere utilizzati esclusivamente per il confezionamento di alimenti non grassi (se non ci avete mai fatto caso, controllate le indicazioni riportare ad esempio nella classica pellicola che si utilizza per conservare gli alimenti una volta aperti). Un altro limite riguarda la temperatura alla quale non bisogna esporre questi materiali, di solito il limite è fissato intorno ai 40°, ben al di sotto della temperatura che raggiunge l'acqua nelle macchinette per il caffè.
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