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Caffè: effetti collaterali con ipertensione

Ipertensione, caffè ed effetti collaterali

Quando si segue una dieta per l'ipertensione bisogna stare attenti anche al caffè, in soggetti predisposti geneticamente potrebbe favorire una condizione di prediabete. Il diabete di tipo 2 non esordisce all'improvviso ma viene normalmente preceduto da una condizione, che può durare dai 5 ai 10 anni, nota come prediabete, un'incapacità a mantenere la glicemia nei livelli normali durante tutta la giornata. I risultati della scoperta, frutto di uno studio condotto da un gruppo di ricercatori dell'Ospedale di San Daniele del Friuli (UD), sono stati presentati in occasione del congresso dell'European society of cardiology (Barcellona, Settembre 2014).

Lucio Mos, direttore di Cardiologia all'ospedale di San Daniele del Friuli, spiega che non tutti metabolizzano la caffeina allo stesso modo, ci sono alcune persone che presentano una variante del gene CYP1A2 che li rende più sensibili alla 1,3,7-trimetilxantina (un alcaloide naturale meglio noto come caffeina). In seguito a un'indagine si è scoperto che questa predisposizione genetica incrementava il rischio di prediabete nei pazienti ipertesi che bevevano caffè.

Nella fase iniziale dell'indagine sono stati esaminati i dati di 1180 persone senza diabete, con un'età compresa tra i 18 e i 45 anni, al primo stadio di ipertensione. I soggetti presi in esame facevano tutti parte del progetto Harvest (Hypertension and Ambulatory Recording VEnetia Study). Dall'anamnesi è emerso che il 74 per cento del campione beveva caffè: l'87 percento di questi beveva 1-3 tazze al giorno mentre il 13 per cento superava le tre tazze.

Gli esperti spiegano che i risultati di precedenti studi hanno evidenziato che il caffè può essere un fattore di rischio per l'ipertensione, un rischio correlato però ad un particolare patrimonio genetico. Le persone che metabolizzano lentamente la caffeina sono infatti più esposti agli effetti collaterali del caffè.

In una seconda fase dell'indagine i ricercatori si sono concentrati su un campione più ristretto composto da 639 volontari. L'obiettivo era quello di valutare l'effetto sul lungo periodo del caffè sull'eventuale sviluppo di prediabete. Il gene CYP1A2 può presentare dei polimorfismi che lo rendono più o meno attivo nei confronti dei farmaci ma non solo, questo gene influisce anche sul metabolismo della caffeina. Il 42 per cento dei partecipanti presentavano una variante del gene che li portava a metabolizzare più velocemente la caffeina mentre il restante 58 per cento aveva una metabolizzazione più lenta.

Dopo circa 6 anni di osservazione è stato diagnosticato il prediabete nel 24 per cento dei volontari coinvolti. Incrociando le varie informazioni si è scoperto che il rischio di sviluppare la patologia aumentava del 34 per cento in quelle persone che bevevano da 1 a 3 tazze al giorno e raddoppiava in quelle persone che superavano le tre tazze al giorno (percentuali di rischio valide nel caso delle persone che metabolizzavano la caffeina lentamente).

Sebbene precedenti studi hanno evidenziato che il consumo di caffè potrebbe aiutare a ridurre il rischio di diabete di tipo 2, questa nuova indagine dimostra che l'effetto della caffeina non è uguale in tutta la popolazione. Se alcuni potrebbero avere dei giovamenti, in termine di diminuzione del rischio, altri correrebbero più rischi di diabete di tipo 2. Le persone che impiegano più tempo a metabolizzare la caffeina dovrebbero quindi, sopratutto in caso di ipertensione, prediligere il caffè decaffeinato.


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