Una dieta ipoproteica potrebbe prevenire alcuni tumori
Limitare l'assunzione di proteine potrebbe aiutare l'organismo a proteggersi dallo sviluppo di alcune forme tumorali non correlate all'obesità come il cancro alla prostata e il tumore al seno nelle donne in età premenopausale. Questa è la conclusione di uno studio coordinato da Luigi Fontana, ricercatore del Dipartimento di Sanità alimentare ed animale dell'ISS, eseguito presso la Washington University School of Medicine in St. Louis (Usa), i dettagli della ricerca sono stati pubblicati sul numero di dicembre (2006) della rivista scientifica American Journal of Clinical Nutrition.
Enrico Garaci, presidente dell'Istituto Superiore di Sanità, spiega che pervenire le patologie cronico-degenerative associate a stili di vita scorretti e studiare nuove strategie in grado di promuovere un successful aging (invecchiamento ottimale) sono degli obiettivi importanti ai quali viene data grande importanza presso l'ISS. Garaci spiega che purtroppo non sempre l'incremento della vita media della popolazione italiana è accompagnata da un parallelo miglioramento della qualità di vita, per questo motivo presso l'ISS verrà aperto un Centro dotato di una sorta di "cucina metabolica", di una palestra e di ambulatori, grazie al quale verranno studiati i meccanismi attraverso cui una corretta alimentazione e l'esercizio fisico rallentano l'invecchiamento di organi e tessuti nell'uomo e prevengono le malattie croniche-degenerative in soggetti che non hanno ancora subito danni organici irreversibili.
Come è stata condotta la ricerca che ha portato alla conclusione che una dieta ipoproteica potrebbe ridurre i rischi di alcune forme tumorali ? Durante lo studio sono stati presi in esame tre gruppi di persone pareggiati per età e per sesso. Il primo gruppo era formato da 21 individui vegetariani crudisti (persone che consumano solo alimenti crudi, soprattutto frutta, verdura, cereali in fiocchi e germogli di cereali e legumi) che assumevano una media giornaliera di 0.73 grammi di proteine per chilogrammo di peso corporeo, il secondo gruppo era invece formato da 21 atleti specializzati nella corsa di resistenza allenati a percorrere poco meno di 80 km alla settimana, nella loro dieta erano compresi 1.6 grammi di proteine giornaliere per chilogrammo di peso corporeo, infine l'ultimo gruppo era formato da persone sedentarie che assumevano una tipica dieta americana con 1.23 grammi di proteine per chilo di peso.
Luigi Fontana, commentando i dati ottenuti, spiega che la stretta correlazione tra alimentazione e alcune delle più comuni forme di cancro è un'ipotesi abbastanza fondata, purtroppo si sa ancora poco sui meccanismi attraverso i quali i diversi alimenti promuovono o proteggono dal cancro. Che le persone in sovrappeso ed obese hanno maggiori rischi di sviluppare il cancro del colon, dell'endometrio, del rene, dell'esofago e della mammella soprattutto dopo la menopausa, è ormai un dato appurato, tuttavia esistono due forme tumorali che non sono associate all'eccessivo accumulo di grasso: il cancro alla prostata e il tumore della mammella nelle donne in età premenopausale. L'esperto spiega che in base ai nuovi dati ottenuti è emerso che una dieta ipoproteica potrebbe essere in grado di proteggerci da queste forme di cancro più dell'esercizio fisico, indipendentemente dalla quantità di grasso corporeo.
Nel corso dell'indagine è stato constatato che sia gli individui che praticavano da lungo tempo un regime alimentare caratterizzato da un basso apporto proteico nell'ambito di una dieta relativamente ipocalorica, sia gli atleti, abituati a svolgere attività fisica con regolarità e precisione, mostravano un basso contenuto di grasso corporeo e di conseguenza dei valori più bassi d'insulina, di testosterone libero e di citochine pro-infiammatorie. Il dato più importante rilevato durante la ricerca riguarda gli individui che seguivano una dieta ipoproteica, in questi, infatti, si è notata una riduzione dei livelli dell'IGF-1, un importante fattore di crescita che accelera la proliferazione sia delle cellule normali sia di quelle mutate. Fontana spiega che l'associazione tra livelli plasmatici di IGF-1 e il rischio di sviluppare cancro alla mammella in pre-menopausa, cancro alla prostata e al colon, è un fenomeno ben noto. Alcuni dati su animali da esperimento suggeriscono che livelli più bassi di IGF-1 siano anche associati ad un aumento della vita massima.
Secondo le linee guida dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, un apporto proteico giornaliero corretto dovrebbe essere intorno ai 0.8 grammi/Kg/die di proteine, un valore molto simile a quello del gruppo di individui che seguivano una dieta ipoproteica. Purtroppo molti americani, ma anche italiani, mangiano 1.2 - 1.6 grammi/Kg di proteine al giorno, una quantità che supera dal 30 al 50 per cento le dosi raccomandate dagli esperti. Il ricercatore evidenzia che è ormai appurato che se aumentiamo del 30 - 50 percento l'apporto di calorie, rispetto al fabbisogno giornaliero, si diventa obesi, tuttavia, non si sa ancora con certezza cosa succede se mangiamo cronicamente più proteine di quelle che sono necessarie per mantenere un bilancio azotato neutro. L'ipotesi di Fontana, che sottolinea deve essere confermata da ulteriori studi, è che un prolungato ed eccessivo consumo proteico possa aumentare il rischio di sviluppare alcune forme di cancro, e persino accelerare i processi d'invecchiamento.
L'esperto conclude evidenziando che la maggior parte delle persone dei paesi industrializzati, e sempre più spesso anche quelle dei paesi in via di sviluppo, non mangiano abbastanza verdura, legumi, cereali integrali e frutta, un'abitudine che porta troppo spesso a comporre la nostra dieta di alimenti di origine animale (carne, formaggio, uova e burro), cereali eccessivamente raffinati e zuccheri semplici, che a lungo andare sono deleteri per la salute perché estremamente calorici e perché troppo ricchi di proteine e sale, diete che aumentano i fattori di rischio per l'obesità addominale, per il diabete, per l'ipertensione arteriosa, per le malattie cardiovascolari e per alcune forme di cancro.
Fonte: Istituto Superiore di Sanità
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