Trapianti di organi senza rigetto grazie a un gene
Uno dei rischi maggiori nelle operazioni che prevedono il trapianto di un organo è il rigetto da parte dell'organismo, in futuro grazie a un particolare gene questo problema potrà essere superato con conseguenti benefici anche sotto altri punti di vista. Oltre a evitare il rigetto cronico dopo un trapianto, nella maggior parte dei casi non sarà più necessario abbassare le difese dell'organismo con la cura immunosoppressiva, una prassi attualmente necessaria affinché il sistema immunitario accetti il nuovo organo.
Sebbene con il tempo si è riusciti a migliorare l'efficienza dei farmaci antirigetto e oggi nel 90 per cento dei casi organi come fegato e reni sopravvivano oltre un anno, con il tempo la funzionalità tende comunque a deteriorarsi a causa della tossicità dei farmaci o dell'insorgenza del rigetto cronico, purtroppo una conseguenza di cui ancora non si conoscono le cause. Per questo motivo gli studi condotti presso il dipartimento di Medicina molecolare dell'Istituto Mario Negri di Bergamo, sono molto importanti per il futuro dei trapianti.
Sul Journal of the American Society of Nephrology (JASN), si torna a parlare dei progressi che si stanno facendo nel centro italiano e dell'importanza di un particolare gene. Giuseppe Remuzzi, direttore dell'istituto Mario Negri di Bergamo, spiega che i risultati ottenuti fanno ben sperare per il futuro, la prospettiva è quella di combattere il rigetto nei trapianti utilizzando le proprietà di un gene e limitando l'impiego di farmaci immunosoppressivi soltanto sull'organo trapiantato e solo nel periodo immediatamente successivo al trapianto. Oggi invece i farmaci utilizzati nella cura immunosoppressiva abbassa le difese immunitarie dell'intero organismo.
Le prime notizie relative alla sperimentazione del gene da parte dell'Istituto Mario Negri di Bergamo, risalgono al 2000, quando sulle pagine del JASN furono pubblicati i risultati di una terapia genica capace di impedire il rigetto dopo il trapianto. Attraverso quello studio si dimostro che era possibile aumentare la sopravvivenza di reni trapiantati senza ricorrere a farmaci anti-rigetto, ma trasferendo particolari geni capaci di difendere l'organo dalla reazione immunitaria dell'ospite.
Se grazie ai progressi della chirurgia oggi si riesce a far fronte al rigetto acuto, una situazione che si verifica entro un mese dall'operazione e che può essere bloccato grazie a dei farmaci, bisogna ancora migliorare le problematiche legate al rigetto cronico. Ariela Benigni, direttrice del Dipartimento di Medicina Molecolare del Mario Negri di Bergamo, spiega che il rigetto cronico è ancora una minaccia alla sopravvivenza a lungo termine in quanto si ha una reazione continua del sistema immunitario contro il nuovo organo. Il rigetto cronico causa in genere la perdita della funzione dell'organo con conseguente necessità di un nuovo trapianto in una decina d'anni.
I ricercatori italiani hanno dimostrato che è possibile aumentare la sopravvivenza di reni trapiantati fra cavie di laboratorio incompatibili senza ricorrere a farmaci antirigetto, risultato ottenuto grazie al trasferimento di particolari geni capaci di difendere l'organo dalla reazione immunitaria dell'ospite. Un successo considerato molto importante in quanto se si dovessero ottenere gli stessi risultati anche sull'uomo ci sarebbe una vera e propria rivoluzione nel campo dei trapianti.
Giuseppe Remuzzi spiega che sono riusciti a far esprimere al rene trapiantato una particolare proteina chiamata CTLA4-Ig, questa aggancia in superficie le cellule difensive (i linfociti) responsabili del rigetto, successivamente riesce a disinnescarle per il tempo necessario, un mese circa, a rendere "compatibili" tra loro organo donato ed ospite. Per fa si che il rene esprimesse questa particolare proteina i ricercatori si sono serviti di una particolare terapia genetica. La tecnica consiste nel trasferire nell'organo del donatore, dopo l'espianto e prima del trapianto, geni per la CTLA4-Ig trasportati da un virus inattivo. Il virus "infetta" subito le cellule e vi lascia il nuovo gene che le rende resistenti al rigetto.
Una delle peculiarità di questa nuova terapia risiede nel modo in cui si interviene, a differenza di quanto avviene con le cure immunosoppressive attualmente usate che agiscono sull'intero organismo del ricevente, la terapia genica si concentra solo sull'organo da trapiantare. Ora i risultati dovranno essere confermati anche in animali più grandi come primati e i maiali, successivamente, fra tre-cinque anni si potrà partire anche con la sperimentazione sull'uomo.
Anche se attualmente si sta sperimentando solo sui reni, questa particolare terapia genetica potrà essere applicata anche ad altri organi. Bisogna considerare che i reni sono fra gli organi più difficili da trapiantare con successo perché più esposti al rigetto acuto, se quindi si ottengono buoni risultati in questi esperimenti è auspicabile una percentuale ancor più alta di successi negli altri casi. Un altro aspetto da tenere in considerazione è che grazie a questa tecnica si potrebbero usare anche organi di donatori non compatibili allargando la quantità di interventi.
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