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Tumore al seno, quando si può evitare la chemioterapia?

Chemioterapia per tumore al seno

Dopo un intervento di tumore al seno si può evitare la chemioterapia? Mediante un test genetico battezzato MammaPrint si possono individuare quali donne presentano un bassissimo rischio di progressione metastatica e, di conseguenza, potrebbero evitare alcune cure come la chemioterapia. Anche se i farmaci chemioterapici sono molto meno tossici rispetto al passato, non si può dire che non siano privi di effetti secondari. Essi, pur essendo di natura transitoria, possono in alcuni casi essere abbastanza invalidanti. Diversi centri hanno messo a punto dei test genomici in grado di valutare la probabilità della formazione di un nuovo tumore al seno, alcuni si sono rilevati però più efficienti di altri. Il MammaPrint permette di esaminare ben 70 geni indicando con un'altissima probabilità in quali casi le donne possono evitare la chemioterapia per il cancro al seno. L'efficienza del test è stata valutata nel corso dello studio MINDACT, un'indagine durata 5 anni. I risultati della ricerca sono stati pubblicati sul New England Journal of Medicine (70-Gene Signature as an Aid to Treatment Decisions in Early-Stage Breast Cancer - Doi: 10.1056/NEJMoa1602253).

Sulle donne sottoposte ad intervento di tumore al seno, in alcuni casi, è necessaria la chemioterapia adiuvante, una cura che ha lo scopo di ridurre il rischio di ricaduta di malattia a livello locale e generale. Fino a non molto tempo fa non si disponeva però di strumenti adatti per capire quali donne si dovessero sottoporre ad ulteriori cure dopo l'intervento. I risultati dello studio MINDACT sono stati molto soddisfacenti al punto che la Food and Drug Administration (FDA) ha approvato l'utilizzo del MammaPrint per valutare quali pazienti hanno un basso rischio di recidiva e quali invece ne hanno uno alto.

Per valutare l'efficacia del test sono state arruolate, in uno studio randomizzato e controllato, 6693 donne operate per cancro mammario in stadio iniziale. Per quanto riguarda le pazienti europee, il MammaPrint è stato approvato e utilizzato su donne operate di tumore della mammella in stadio T1 o T2 (carcinoma infiltrante) con una dimensione inferiore ai 5cm, con linfonodo ascellare negativo (LN-) o positivo (LN 1-3) e stato ormonale positivo (ER+) o negativo (ER-). Negli Stati Uniti il MammaPrint può essere utilizzato invece solo su pazienti con linfonodo negativo. Del totale delle partecipanti al studio, il 21 per cento delle donne presentava dei linfonodi ascellari positivi per metastasi, circa l'88 per cento presentava dei recettori ormonali positivi e in un 8 per cento del campione vi era una positività per HER-2 (tumore al seno HER2-positivo).

In cosa consiste il MammaPrint? Si tratta di un test in vitro, basato sulla tecnologia microarray, mediante il quale si estrae l'RNA dal campione di tessuto di tumore mammario primario. Durante l'esame si procede all'analisi del profilo di espressione di 70 geni critici coinvolti nei meccanismi molecolari responsabili della diffusione metastatica del tumore mammario. Un campione del tumore, raccolto a temperatura ambiente entro 60 minuti dall'asportazione chirurgica, viene immerso in un liquido che stabilizza l'RNA (il congelamento del tessuto non è richiesto) e inviato presso il centro olandese che ha realizzato il MammaPrint.

Fatima Cardoso, prima autrice dello studio pubblicato su New England Journal of Medicine, spiega che le pazienti coinvolte nell'indagine sono state identificate in base alla loro analisi genetica e al loro rischio clinico, parametri che hanno permesso di valutare la probabilità individuale di sopravvivenza a 10 anni dal cancro al seno senza terapia sistemica. Successivamente, in modo casuale, sono state assegnate quelle con risultati discordanti (basso rischio clinico e alto rischio genomico o alto rischio clinico e basso rischio genomico) al gruppo di chemioterapia o a quello non-chemioterapia sulla base del risultato clinico o genomico.

Per la valutazione della probabilità di progressione del tumore al seno, al MammaPrint test, è stato affiancato un algoritmo computerizzato opportunamente modificato noto con la sigla: Adjuvant! Online. Si tratta di un calcolatore dove si inseriscono alcuni parametri (quali ad esempio: dimensioni del tumore, stato dei linfonodi, stato dei recettori ormonali, iperespressione di HER-2, età della paziente, coesistenza di più patologie diverse, ecc.), si selezionano i trattamenti adiuvanti (chemioterapia, terapia ormonale, trattamento combinato, ecc.) e si ottiene come risultato il beneficio atteso in termini di riduzione proporzionale del rischio di ricaduta o mortalità. Generalmente il rischio viene calcolato sulla base del database del registro tumori del SEER (Surveillance Epidemiology and End Results) degli Stati Uniti.

Nelle situazioni in cui entrambi i test, Adjuvant! Online e MammaPrint, hanno dato come risultato un basso rischio di progressione della neoplasia, le pazienti non sono state sottoposte a chemioterapia adiuvante. Nei casi in cui il rischio rilevato era invece alto, si è proceduto con la chemioterapia dopo l'intervento chirurgico di asportazione del tumore al seno.

Il tasso di sopravvivenza a 5 anni del gruppo delle donne non trattate, e con un basso rischio in entrambi i test, è stato del 97,6 per cento, in queste pazienti non si sono sviluppate metastasi dopo l'intervento di asportazione. Il gruppo delle donne sottoposte a chemioterapia adiuvante, perché ritenute ad alto rischio, a 5 anni dall'intervento avevano un tasso di sopravvivenza del 90,6 per cento.

Per quanto riguarda le donne nelle quali sono stati ottenuti dei risultati discordanti nei test, si è proceduto con una randomizzazione del trattamento chemioterapico. Nel campione di pazienti che avevano ricevuto un basso rischio dall'Adjuvant! Online ma alto con il MammaPrint, il tasso di sopravvivenza senza metastasi a 5 anni è stato del 95,1 per cento nel gruppo senza chemioterapia . In linea di massima, nei due gruppi discordanti, la percentuale di sopravvivenza con la chemioterapia era sovrapponibile a quella ottenuta senza chemioterapia. La probabilità di sopravvivenza nel gruppo a rischio clinico elevato e a rischio genetico basso era del 96,2 per cento. In termini assoluti, in pratica, la chemioterapia portava ad un guadagno di 1,5 punti.

Anche se saranno necessarie ulteriori ricerche e un periodo di follow up più lungo per poter valutare meglio come comportarsi nei casi dove si rileva un rischio elevato sulla base dei criteri standard ma basso con i test genetici, i risultati dello studio sono molto interessanti. Circa il 46 per cento delle donne che a livello clinico si ritengono ad alto rischio, potrebbero non sottoporsi alla chemioterapia adiuvante se i risultati del MammaPrint rilevano un basso rischio. Secondo gli autori, l'uso del test genetico potrebbe quindi ridurre considerevolmente l'utilizzo della chemioterapia in quelle pazienti con linfonodi negativi e da uno a tre linfonodi positivi al cancro al seno.

MammaPrint test e risultati

Con il MammaPrint si possono quindi individuare quali pazienti potrebbero tranquillamente evitare dei trattamenti che in alcuni casi possono avere degli effetti collaterali anche significativi. La decisione finale andrebbe però lasciata alle pazienti opportunamente informate. Per alcune donne quel punto e mezzo percentuale che possono guadagnare con la chemioterapia può essere molto importante, per altre potrebbe essere invece trascurabile rispetto ai possibili effetti secondari della chemioterapia. Un altro aspetto da tenere poi in considerazione è il risultato su periodi più lunghi, solo ulteriori indagini potranno dire se tali risultati rimangono stabili anche per periodi superiori a 5 anni oppure no.


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