Possibili cure per il morbo di Alzheimer
I sintomi del morbo di Alzheimer, una malattia dal forte impatto sociale che grava per la maggior parte sulle famiglie dei pazienti, potrebbero essere contrastati da un vaccino di nuova generazione. A distanza di poco più di 100 anni, era il 4 novembre del 1906 quando si delineo per la prima volta questo tipo di patologia neurodegenerativa, sembra che le ricerche abbiamo subito un'accelerata e si susseguono i risultati che fanno ben sperare in una possibile cura. Il lavoro congiungo di due centri, l'Istituto di genetica e biofisica (Igb-Cnr) e l'Istituto di biochimica delle proteine (Ibp-Cnr), ha permesso la realizzazione di un vaccino che ha ala base una molecola battezzata (1-11) E2. I dettagli dello studio sono stati pubblicati sulla rivista Immunology and Cell Biology.
Grazie a questa molecola i ricercatori sono riusciti a stimolare la produzione di specifici anticorpi in grado di contrastare la proteina beta-amilioide che, quando si presenta in particolari condizioni, è all'origine dell'Alzheimer. Prima di procedere con la sperimentazione sull'uomo bisognerà ancora attendere un po' di tempo, per il momento si è giunti ai test di fase preclinica che prevedono la somministrazione del vaccino su alcune cavie di laboratorio. Attualmente è già stato concesso il brevetto italiano e si è in attesa dell'approvazione di quello internazionale.
In una prima fase la sperimentazione prevede la somministrazione del vaccino in alcuni topi "normali", successivamente si passerà alla somministrazione su topi modificati geneticamente in modo che sviluppino una patologia simile all'Alzheimer. I ricercatori sono molto soddisfatti dei risultati ottenuti in vitro. Ormai da tempo studiosi di tutto il mondo stanno lavorando alla realizzazione di un vaccino in grado di prevenire l'Alzheimer, purtroppo, fino ad ora, nessuna cura è mai stata utilizzata sull'uomo a causa dei gravi effetti collaterali che bloccavano lo stadio di ricerca prima ancora di sperimentarlo su soggetti che non fossero cavie di laboratorio. Grazie all'esperienza accumulata indirettamente con i risultati dei precedenti studi, i ricreatori italiani spiegano che la molecola (1-11)E2 è in grado di minimizzarne i rischi per l'organismo e di ottimizzarne l'efficacia terapeutica.
Antonella Prisco, ricercatrice presso il Cnr di Napoli, spiega che il vaccino realizzato è in grado di indurre una rapida risposta anticorpale contro il peptide beta-amiloide e favorisce la produzione di una citochina anti-infiammatoria, l'interleuchina-4, ottenendo una valida risposta immunologica. Piergiuseppe De Berardinis, dell'Ibp-Cnr, evidenzia che attualmente si fa un largo uso di vaccini per prevenire le malattie infettive e che anche una patologia come l'Alzheimer potrebbe essere prevenuta o curata mettendo in atto un processo simile a quello che si attua con le malattie di tipo virale.
Buone notizie arrivano anche dall'America, presso l'Università di Philadelphia un gruppo di ricercatori ha aggiunto un nuovo tassello al puzzle che permette di comprendere meglio cosa c'è dietro al morbo di Alzheimer. Gli studiosi hanno individuato una proteina chiave che sta alla base della produzione di beta amiloide nel cervello, la 12/15-Lipoxygenase. La proteina 12/15-Lipoxygenase controlla il beta secretasi (BACE-1), un enzima precursore delle placche amiloidi. Domenico Pratico, ricercatore italoamericano e docente di Farmacologia e di Microbiologia, spiega che uno studio durato ben 3 anni ha permesso di scoprire che, per ragioni che non sono ancora chiare, in alcune persone il 12/15-Lipoxygenase inizia a lavorare troppo. I risultati di questo studio sono stati pubblicati sugli Annals of Neurology (Gennaio 2012).
Ulteriori approfondimenti saranno necessari anche per capire meglio se esiste un legame tra la malattia e la riduzione di insulina. Secondo i dati di uno studio statunitense i pazienti con valori elevati di glicemia hanno una probabilità dell'85 per cento di ammalarsi di Alzheimer, una scoperta che potrebbe allungare l'elenco degli effetti associati al diabete. La ricercatrice Daniela Giacomazza, dell'Ibf-Cnr, spiega che si è osservato che i pazienti affetti da Alzheimer presentavano una riduzione di insulina (ormone responsabile dell'assorbimento del glucosio a livello cellulare) tanto che si sarebbe potuto definire tale morbo un "diabete di tipo III". Ora un gruppo di biologi e biofisici del Cnr e dell'Università di Palermo stanno indagando sui meccanismi che legano la malattia alla riduzione di insulina con l'intento di individuare nuovi farmaci mirati.
Marta Di Carlo, dell'Ibim-Cnr, spiega i risultati ottenuti in vitro aprono la strada a possibili farmaci che, agendo in maniera mirata su una particolare molecola (Akt) o sulle molecole da essa attivate, possono essere utilizzati nella prevenzione e terapia dell'Alzheimer.
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